È di ieri la notizia di un contagio di una dipendente del call center Almaviva di Palermo. C.D. – queste le iniziali della donna – che presta servizio in via Cordova per la commessa 119 tim, anche se dal 2 marzo era stata spostata al servizio 1500, il numero verde istituito per i sospetti di coronavirus. La giovane donna, che ha all’incirca 40 anni, ha svolto un corso propedeutico per essere istruita al nuovo e provvisorio incarico. Formazione che è avvenuta in aula, insieme ad una quindicina di colleghi. Finito il corso la dipendente è riuscita a portare a termine un solo giorno di lavoro perché la sera stessa, al ritorno a casa, si è sentita male. Febbre alta e tosse. Sintomi che hanno allarmato la famiglia e i sanitari. La donna è stata trasportata all’ospedale Cervello, dove sarebbe risultata positiva al coronavirus.
LUOGO PERICOLOSO
Qualche giorno fa, in un articolo di questo giornale, ci chiedevamo come fosse possibile tenere ancora aperti, vista la dichiarata pandemia, i call center. Addirittura Almaviva chiedeva straordinario. In posti di lavoro in cui ogni dipendente è allocato in una celletta, in cui ci si alterna ad ogni cambio turno, gomito a gomito con altri colleghi. Luoghi pieni di operatori, sia inbound sia outbound, in cui il contatto umano e la condivisione di strumentazioni lavorative sono inevitabili.
SALUTE A RISCHIO
L’azienda Almaviva stava avviando lo Smart Working, ma purtroppo si è arrivati tardi. Il pericolo di contagio, anche silente, ovvero senza sintomi, adesso c’è. E non solo perché c’è stato un singolo caso, ma perché attività come queste andavano sospese subito. Luoghi di assembramento che non avevano ragione di continuare ad operare, che stanno mettendo a rischio la salute dei dipendenti, dei loro cari e dell’intera collettività. E a poco sembrano servire le misure di sicurezza adottate in questi giorni dai call center, atte ad aumentare la distanza tra un operatore e l’altro, a fornire ai lavoratori guanti, mascherine e disinfettante per le mani. In quel tipo di lavoro, vuoi o non vuoi, si è costretti ad usare alternativamente le stesse sedie, le stesse scrivanie, gli stessi call master, gli stessi computer, gli stessi bagni, le stesse macchinette per il caffè… Il rischio è troppo grande per non convergere tutti in una direzione, far lavorare i dipendenti da casa.
SI CONTINUA A LAVORARE
E il guaio è che si continua a cercare di mettere toppe, invece di interrompere subito il rischio. L’azienda ha comunicato che sta nuovamente sanificando i locali. Il problema non sta nel fare le pulizie, disinfettando ogni angolo dei palazzoni che ospitano i call center. Va bloccata la diffusione permettendo agli operatori di lavorare da casa. Non esistono al momento altre soluzioni, deve essere attivato con urgenza lo smart working. Ma intanto, stamattina, c’è chi si è recato a lavoro.
ANDARE O NON ANDARE? QUESTO E’ IL PROBLEMA
In Sicilia, Almaviva non è l’unico call center operante. Ce ne sono tanti, grandi e piccole realtà. Un intervento da parte delle Istituzioni, che avrebbero il dovere di interessarsi con urgenza alla questione, sgraverebbe i lavoratori da responsabilità e timori. Lavoratori che in questo momento sono fra l’incudine e il martello, tra l’angoscia di perdere il lavoro, rifiutandosi di recarsi in azienda, e quella di compromettere la propria salute e quella dei propri cari recandosi in servizio.
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