Alle 12.30 non si vince mai, ma nemmeno quando gli episodi risultano a sfavore, o se si cambia lo speaker dello stadio. Dopo la partita contro il Catanzaro è ripartita la caccia alla ricerca di motivazioni per un nuovo stop del Palermo, forse il più inatteso, viste le ultime convincenti prove d’insieme. Insieme che però non può prescindere dai singoli elementi, impostati dal tecnico Boscaglia non sempre nella posizione a loro più congeniale, come da sua stessa ammissione. Dopo l’ultima vittoria contro la Turris, infatti, l’allenatore aveva lodato il sacrificio di alcuni elementi a giocare fuori dal proprio ruolo abituale. Ma di questo sacrificio c’è davvero bisogno? È possibile, viene da chiedersi, che non si riesca a comporre una “squadra tipo” con gli elementi schierati nei giusti ruoli?
QUESTIONE DI UOMINI, NON DI MODULO
Probabilmente, dati alla mano, le motivazioni vanno ricercate all’interno, piuttosto che negli episodi. Che il Palermo abbia dimostrato di sapere stare meglio in campo con il 4-3-3 è un dato su cui difficilmente si può obiettare. Ma se poi dentro questo modulo si chiede a Santana, 39 primavere e spiccate propensioni offensive, di fare filtro a centrocampo, specie contro una mediana a cinque imbastita da un avversario forte, c’è qualcosa che non quadra. E se ciò non gli fosse stato chiesto, allora saremmo di fronte ad una riproposizione del modulo di inizio stagione, ma ipotizzare ciò, forse, sarebbe anche peggio.
È vero che l’esperimento, se così si vuol definire, era riuscito nella partita contro il Bisceglie, in cui però la qualità non eccelsa della compagine pugliese, peraltro in un periodo negativo, aveva inciso in modo determinante a favore dei rosanero. Proprio per questo il talento del capitano, nonostante la posizione in campo, era riuscito comunque ad emergere.
LA PERENNE CORSA AI RIPARI
Come si dice, chi nasce tondo tale rimane, e i miracoli, da sempre, non sono umani. E allora, dopo l’ennesimo gol subito in contropiede, nella ripresa si è provato a correre ai ripari inserendo Palazzi, altro buon elemento ma entrato in crisi di identità tra l’essere un difensore o un centrocampista. E poi, dopo aver deciso di fare provare ad Almici che aria tira sulla sinistra, dentro anche Silipo, per i canonici 20 minuti giusti poter dire “io l’ho messo”.
Tanto per fortuna, nel calcio moderno, si può cambiare a partita in corso praticamente metà squadra. Ma se lo si fa con costanza ad ogni gara, evidentemente l’assetto iniziale si rivela spesso non adeguato all’avversario che si incontra. Quando poi subentra anche la componente emotiva, che porta erroneamente a pensare che si debba provare a vincere sempre e a tutti i costi, si sa che chi troppo vuole, nulla stringe.
NON BASTA FARE BENE CON LE “BIG”
Eppure quel “qualcosa in più” si era tirato fuori contro big come Ternana e Bari, partite in cui le giuste motivazioni vengono da sole. Come a voler dimostrare di potersela giocare alla pari anche con chi sta più in alto, se non fosse però che i diretti competitor del Palermo per la zona playoff sono altri, ed in questa chiave l’occasione persa contro il Catanzaro lascia ancora più amarezza.
Adesso avanti tutta verso Viterbo, contro un avversario che il Palermo, all’andata, non è riuscito a sconfiggere nonostante i tre gol segnati. Perché anche gli altri scendono in campo, e se non si dà loro la giusta attenzione il risultato non è mai scontato, a prescindere dagli episodi. Ma male che dovesse andare, si potrà dire che la partita si è giocata alle 12.30.