Quella del Chievo è stata una favola, la squadra di un quartiere, nemmeno un paese, che arriva in serie A, che cattura le simpatie di tutti perché è l’eterno Davide chiamato a sfidare l’eterno Golia, le big del nostro football, ma anche per il bel gioco che mostra con le strategie di Gigi Delneri. Uno che dovevi sforzarti a capire, già come si scrivesse il suo cognome, cioè tutto unito, mentre tutti scrivevamo staccato: Del – spazio – Neri; figurarsi quando parla, con quelle frasi smozzicate, masticate, incomprensibili; il suo Chievo tutto all’attacco, con le frecce nere sulle fasce, Manfredini–Luciano (o Eriberto?) a scambiarsi e a sfuggire agli esterni di difesa.
Diciassette anni in Serie A, una qualificazione in Champions, pur se grazie alla retrocessione della Juve per Calciopoli (ma era arrivato quinto, comunque). Un club simpatico, il contraltare dell’altro club veronese, l’Hellas, improvvisamente relegato a seconda squadra della città, pur con il suo blasone arricchito da uno scudetto e con la sua tifoseria accanita e, in parte, incivile e razzista. E quanti giocatori sono passati dal Chievo! Sconosciuti, o quasi, diventati protagonisti del nostro campionato, qualcuno destinato persino a diventare campione del Mondo, pur con altre maglie.
Come Barzagli, quando ormai era passato al Palermo, ma da lì era passato, dal Chievo. Lo stesso fece Simone Barone. O come Amauri, il brasiliano che coi suoi gol portò i clienti a giocarsi il terzo turno dei preliminare di Champions, prima di venire in Sicilia a fare sognare i tifosi rosanero: scudetto e qualificazione alla Champions, prima di rompersi nel momento più bello; senza di lui, il Chievo retrocedette in B: dalle stelle alle stalle. O Sorrentino, Corini, Rigoni, Pinilla, Succi, Fontana, Mantovani. Pure Lupatelli va messo in elenco, anche se qui lo ricordano in pochi. Davvero tanti, anche se trattare con il DS dei veronesi, Sartori, era difficilissimo. Altri fecero il viaggio inverso, come Santana, Sicignano, Guana, Ciaramitaro.
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Ma la lista dei bei giocatori del Chievo è lunghissima: Julio Cesar, Perrotta, Semioli, Brighi, Marazzina, Pellissier, Tiribocchi, l’eterno Cossato, Vincenzo Italiano, Frey, Acerbi, Inglese, e tanti altri. Come tanti sono stati gli allenatori che si sono fatti le ossa sulla panchina del Bentegodi, con lo stemma con Cangrande della Scala. Prima e dopo Delneri, a partire da Malesani, per continuare con Silvio Baldini, Iachini che conquista col Chievo la prima delle sue promozioni dalla B alla A, poi Di Carlo, Pioli, Corini.
Tantissimi personaggi di una favola resa possibile anche dalla gestione del presidente Campedelli, diviso tra la sua azienda di pandori, la Paluani, e di suo già un personaggio da saga fantasy, con quella somiglianza con Harry Potter. Stavolta, però, la magia sembra finita; il Voldemort di Campedelli e del Chievo è il consiglio della Figc, che ha escluso il club dalla B; resta la possibilità remota che il collegio di garanzia del Coni sovverta la decisione di covisoc e Figc, ma probabilmente nemmeno la bacchetta di olivander, quella del maghetto di Hogwarts riuscirà a compiere il prodigio.
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