Vito Maggio è stato il nostro Paolo Valenti, paladino e testimone di un giornalismo che aveva il profumo di un’acqua di colonia non più di moda ma la cui scia rilasciava note di garbo e gentilezza. E questo anche nella parte ascendente della sua carriera, quando era quasi voce unica se si parlava di sport. Il Palermo nel Giornale di Sicilia era cosa sua per tutta la settimana, quando c’era da spalare per trovare uno o due temi buoni a tenere a bada una concorrenza certamente più spregiudicata ma non più autorevole.
Vito, peraltro, era rivale di se stesso scrivendo anche per La Gazzetta dello Sport che, specie sul finire degli anni ’70, con l’introduzione delle pagine regionali, pretendeva un servizio d’apertura ogni santo giorno. Mai una riga finì fotocopiata sulle sue due corrispondenze, mai i giornali si lagnarono di quella che poteva essere un palese conflitto d’interessi. E sapete perché? Perché Vito Maggio prima che giornalista era una persona perbene, uno che non dava fregature e ciò gli era riconosciuto da giocatori, tecnici e dirigenti che con lui si confidavano come con l’amico fraterno. E per questo due esclusive al giorno era in grado di portarle a casa. Ricordiamo che non c’era ancora l’odiosa prassi delle conferenze stampa che ha appiattito i contenuti e depotenziato la capacità di relazione, arma essenziale che Vito, come altri pochi, deteneva.
Visse in prima persona la stagione d’oro delle tv private, suo fratello Giuseppe Maggio Valveri aveva infatti messo in piedi una delle migliori emittenti d’Italia, quella Telesicilia che fu nutrice di tanti di noi. E Vito fu tra i primi frontman del giornalismo sportivo televisivo di Palermo, quello credibile, fatto di un italiano corretto e senza fronzoli, come nello stile, appunto, di Paolo Valenti. Se cercavi la battuta ad effetto o una prosa più ricercata avevi sbagliato stanza, Vito era l’essenza dei fatti, asciutto nella scrittura, moderato nei toni. Però ti guardava in faccia e tu intervistato da lui percepivi la sacralità del rito. In Sotto L’erba, il format di inizio anni ’80, che ancora oggi viene ricordato come l’esperienza più completa tra tutti i talk show sportivi locali, Vito era una sorta di notaio a cui affidare il commento del post partita. A mettere l’alcool in questo cocktatil servito il martedì pomeriggio alle 18,30 avrebbero pensato Salvatore Geraci, Guido Monastra e il sottoscritto. Ma senza Vito sarebbe stato un Bloody Mary senza worcester, privo cioè di un ingrediente che dà sapore.
Ma la televisione era una piccola concessione alla vanità, il giornalismo per lui era di carta. E alla carta stampata dedicava ogni frammento del suo tempo, anche per confezionare inchieste infinite che magari si traducevano in poche righe pubblicate ma che hanno rappresentato la sola voce contro la politica siciliana sorda ai richiami delle società sportive. Non a caso Vito Maggio è stato anche dirigente federale, mai presidente regionale del Coni perché per arrivare lì è sempre servito un bollo dei partiti e il nostro il massimo che ha fatto è stata l’adesione ideale al Psi.
Vito mise la firma anche in Giorni di Sicilia, il giornaletto di quattro facciate distribuito gratuitamente per anni allo stadio. In prima pagina il suo fondo e le probabili formazioni delle squadre. Allora era l’unico modo per sapere chi giocava e chi no.Andava a ruba e poi finiva sotto il sedere dei tifosi per evitare di sporcarsi i pantaloni. E Vito rideva di questo doppio uso e non vi posso dire con quale battuta.
E’ stato un maestro di tanti, in particolare padrino professionale di Guido Monastra, destinatario di indimenticabili cazziate in si bemolle, che la voce gli diventava stridula se beccava una marachella grossa. Però a Guido, ancora minorenne, spalancò le porte della professione e del cuore. Con me il rapporto era diverso, Vito mi conosceva sin dalle mie scuole elementari perché i suoi figli Daniela e Francesco frequentavano come me il Petrarca. E poi fu anche mio insegnante di educazione fisica al Garibaldi, in quella che potremmo definire la sua vita parallela, sempre all’insegna dello sport ma con il registro in mano.
Oggi di Vito mi restano frammenti di una vita che ci sarà per sempre, il suo sguardo da sotto gli occhiali, la sua risata composta che sapeva stemperare la tensione del lavoro, una pacca sulle spalle che suggellava la sua soddisfazione per l’esito mediatico del Festival della Cinematografia Sportiva, la più innovativa delle sue creature. Era il mio primo ufficio stampa, la menzione della giuria andò a Momenti di Gloria che non poteva essere in concorso per non violare il regolamento del Festival di Cannes (dove vinse il primo premio). Questo per dirvi del livello della manifestazione. Mi resta anche lo scherzo di cui fu vittima/complice per anni. Una volta la Gazzetta storpiò la sua firma e da Maggio diventò Mangio. Allora gli articoli si dettavano per telefono al dimafonista. Da lì in poi alla fine del servizio Vito declamava: “firmato Vito Maggio, Maggio come il mese”. Inutile dire che ogni pomeriggio, arrivati al momento della firma Geraci, Monastra ed io irrompevamo nella sua stanza per mettere il sigillo al suo articolo. Vito Maggio come il mese finì per essere il nostro tormentone corale. Passiamo ai distinti saluti, era la tua frase di congedo. Ciao, Vito. E grazie per esserci stato nelle nostre giovani vite.