Vera Slepoj, chi era costei? Ci perdoni Manzoni se scopiazziamo ignobilmente quanto da lui attribuito nei “Promessi Sposi” a Don Abbondio (“Carneade, chi era costui?”). Forse, però, abbiamo capito cosa serve al Palermo di Filippi. Non un attaccante, non un centrocampista, tanto meno un difensore o un portiere. Ai rosanero serve ingaggiare qualcuno come Vera Slepoj. Chi la ricorda alzi la mano, gli altri continuino a leggere.
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Stagione 1999-2000, il Palermo del presidente Ferrara e di mister Morgia – dopo un’annata al di sopra delle aspettative – arranca a metà classifica (toh, le coincidenze) e c’è il rischio concreto di gettare al vento ancora un anno nel purgatorio infernale della serie C (toh, un’altra coincidenza). Si decide, allora, di “lavorare” sulla testa della squadra e per farlo si ingaggia proprio Vera Slepoj, una psicologa alla quale il Palermo paga una parcella anche piuttosto cospicua.
Considerevole la quantità di cartellini gialli accumulati finora e ben quattro i rossi comminati ai rosanero. In ultimo Perrotta al 30° del primo tempo contro la Virtus Francavilla. Per dirla alla Almodovar, un Palermo “sull’orlo di una crisi di nervi”. È davvero anomalo, infatti, che una squadra alla quale si rimprovera una cronica mancanza di cattiveria (quella che in America Latina viene definita “garra”) subisca tutti questi provvedimenti disciplinari. Entratacce scomposte, falli inutilmente cattivi: chi meglio di uno psicologo, quindi, per capire cosa porti i calciatori a questi così frequenti raptus?
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