Oggi Renzo Barbera compie 100 anni. Non avrebbe compiuto, compie. Perché in realtà ci sono persone che non muoiono mai, collocate in quella eternità della nostra memoria che riesce nell’impresa impossibile di cancellare le rughe del tempo.
IL PIÙ AMATO DI TUTTI
Renzo Barbera ha battuto tutti per affetto popolare. Ha superato di slancio Raimondo Lanza di Trabia che pure qualche merito l’avrebbe. Non vede neanche il friulano, ineguagliabile per risultati e cialtroneria. Renzo Barbera nel frattempo, ben prima dell’epopea di Guidolin e Corini, di Toni e Amauri, di Pastore, Cavani, Miccoli, Dybala e Vazquez, è diventato anche stadio. Nume tutelare di quella costruzione ai piedi del Monte che ci ricorda quanto bella è stata l’architettura italiana del primo ‘900, neppure scalfita dagli obbrobri di Italia 90. Un onore concesso ai grandissimi, pensiamo per esempio a Milano che ha intestato il suo San Siro a Peppino Meazza, gloria assoluta del calcio italiano ancorché simbolo della capitale meneghina.
E già qui gli devo le mie prime scuse. Ero tra quelli che all’epoca dei fatti ritenni esagerato un gesto che sapeva tanto di ruffianeria, fatto per catturare la benevolenza della famiglia Barbera che a Palermo, per storia, vezzi e glamour equivale agli Agnelli di casa sabauda. Polemizzai, ovviamente in privato, con Ferruccio, prolungamento del padre in quanto a charme e passione calcistica. Geniale interprete di quel marketing territoriale di cui è stato padre e padrone nel capoluogo siciliano. Tanto da avere indirizzato scelte fondamentali dei due grandi simboli della città : il Teatro Massimo e appunto lo stadio.
IL GIUSTO RICONOSCIMENTO: LO STADIO CON IL SUO NOME
Mi sembrava un’operazione esagerata e glielo dissi senza tanti giri di parole. Ritenevo non avesse quei meriti sportivi a mio avviso necessari per mettere il sigillo su uno stadio che aveva già un nome delizioso, La Favorita. Non avevo torto in nessuna di queste considerazioni. Ma l’analisi crollava di fronte al consenso popolare, matrice della passione calcistica e oserei dire di qualsiasi passione civica. Ferruccio non mi parlò per qualche mese perché il dubbio dovevo averglielo messo in testa, però acconsentì all’operazione. Ed ebbe ragione, posso dirlo senza alcun pudore. Aveva ragione e io torto, specie alla luce di quanto è accaduto sotto le grinfie del friulano e della sua articolata banda bassotti. Giudicato competente e vincente, ma tenetevelo il competente e vincente che valgono molto di più le sconfitte atroci degli anni ’70 delle effimere vittorie del 2000.
RICORDI PERSONALI SU RENZO BARBERA
Barbera tenne a battesimo, involontariamente, anche i miei primi giorni di lavoro. E qui la storia si trasforma da universale a soggettiva. Lo fece con il consueto garbo e qualche risatina ben trattenuta davanti a uno che più che un cronista sportivo sembrava un reduce di Woodstock. Fui suo ospite nel primo ritiro estivo consumato tra le valli di Abetone, in un mondo non mio e nel quale feci fatica ad adattarmi. Confesso che a primo acchito mi sembrava più attraente la ribalderia di Salvatorino Matta piuttosto che il genetico sguardo seducente del signor Renzo, il presidente. Lo intervistai decine di volte, per il Corriere dello Sport e per Telesicilia, credo di non averne mai ricavato una sola battuta fuori dall’ordinario. Però piaceva alla gente e questa è una cosa che sfugge da ogni logica perché il carisma non può essere spiegato.
UN PENSIERO AI GRANDI ROSANERO DEL PASSATO
Oggi che il Barbera è chiuso e le strade che ci conducono allo stadio deserte come impone il buonsenso ancor prima che la legge, penso al signor Renzo e a tutti i suoi eroi che mi mancano. Su tutti, a Tanino Troja, Sandro Vanello e a Silvino Bercellino, animatori dei sogni da bambino. Più l’ultimo degli altri perché persino andamento lento e fantasia mi vestivano meglio anche alle elementari. Penso a Tonino De Bellis e Graziano Landoni nati in terre lontane dalla Sicilia ma che hanno scelto Palermo quale loro casa. Autori di quel ’68 che nessun terremoto ha potuto mai cancellare. Penso ad Angelo Bellavia, esempio di come nel calcio non sia necessario il solo talento ma anche lo sguardo benevolo del destino e a Tanino Vasari che mai fu allievo di Renzo ma figlioccio del suo figlioccio Ignazio Arcoleo. E poi cos’altro è stato Vasari se non la reincarnazione di Sergio Pellizzaro, autore dell’assist più bello del gol più bello della storia rosanero, quel colpo di testa in tuffo di Troja che lasciò amminchiunutu anche Gigi Riva
Oggi che il Barbera resterà ancora chiuso, ricordare il signor Renzo ha il valore di un duplice omaggio, alla fede laica di cui conosciamo bene i colori e alla speranza che questi odierni rimpianti si possano trasformare presto in un boato di felicità . Proprio come per un gol, proprio al Renzo Barbera.
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