Palermo, Comune e “pactum” per lo stadio che non c’è: cui prodest?

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Le attuali condizioni di ripartenza del calcio italiano impongono delle riflessioni sul futuro di questo sport. Le regole imposte dai protocolli di sicurezza stanno mettendo a nudo la situazione economica di tante società, soprattutto di quelle che non disputano le categorie maggiori. Le rinunce a disputare i playoff da parte di alcune società di serie C e la totale chiusura dei campionati dalla serie D in giù sono il segnale più forte di quanto fragile sia il sistema calcio in Italia. In questa situazione la attualità palermitana merita un capitolo a parte. Abbiamo già parlato in altri articoli di come sia in questo momento controproducente la bega tra i due maggiori azionisti del Palermo.

stadio Renzo Barbera esterna

CERTEZZA DELL’INCERTEZZA

Pare e non abbiamo motivo di dubitare che fino alla vendita delle quote di minoranza da parte di Di Piazza lo stesso garantisca il suo impegno finanziario per non fare naufragare il progetto di crescita avviato solo un anno fa. Ma in questa città nulla è più certo dell’incertezza. Se da un lato questa società dà garanzia di solidità e di coerenza in tema di raggiungimento degli obiettivi, dall’altro la politica cittadina non si smentisce. Non vogliamo occuparci dei recenti “no” ai colossi commerciali che vorrebbero investire nella nostra città anche se proprio queste negazioni sono sintomo di come nel nostro territorio fosse passato Attila e i suoi Unni, qui non cresce più l’erba degli investimenti e del lavoro.

QUEL VESSILLO ROSANERO…

Proprio il Comune che nel suo luogo istituzionale per eccellenza espone da qualche giorno il vessillo rosanero issato dal primo cittadino è in questo momento il primo nemico del rilancio calcistico della squadra che porta il nome della città. L’esorbitante richiesta di affitto dello stadio, che allontana un “pactum” fra le due parti, potrebbe – ed è più di una ipotesi – costringere i giocatori rosanero ad esibirsi a qualche centinaio di chilometri dai propri tifosi. Cui prodest questa querelle è arduo da capire. La classe politica attualmente al governo della città non ricaverebbe nulla in termini economici da una eventuale non occupazione di un impianto di proprietà comunale e in termini elettorali ne avrebbe certamente solo da perdere. Un eccessivo irrigidimento da parte della neonata società calcistica la costringerebbe a costi supplementari da dovere stanziare per la disputa delle gare sempre praticamente in trasferta e probabilmente il dirottamento di fondi alla gestione logistica andrebbe a scapito dei costi previsti per la gestione sportiva.

LO SFORZO CHE UNISCE

In Italia purtroppo solo cinque società hanno un impianto di proprietà e tre di loro sono dei veri e propri modelli da seguire ognuna per ragioni diverse. La Juventus, l’Udinese e l’Atalanta hanno ricavato tanto dal possesso di un impianto proprio potendo contare su introiti certi derivanti non soltanto dagli incassi delle partite. Un progetto stile Reggiana, che nel 2007 acquistò dal Comune il Giglio per otto milioni di euro, pagandolo grazie ad abbonamenti pluriennali, ci pare una soluzione da non scartare e da riproporre anche a Palermo, dove la ritrovata appartenenza sarebbe un aire importante per la realizzazione di questo tipo di progetto. Alea iacta est, il dado è tratto, come diceva Cesare secondo Svetonio al passaggio del Rubicone (sotto la rappresentazione in foto copertina).

Di tempo ne è rimasto davvero poco, circa un mese. Per l’iscrizione al prossimo campionato è necessario indicare un campo di gioco omologato. Si faccia da tutte e due le parti uno sforzo per trovare una soluzione che non allontani la squadra dalla sua città ed i tifosi dalla loro casa, prevedendo magari con un po’ di lungimiranza la possibilità per questa società di potersi dotare di impianti propri. Il futuro può realmente tingersi di rosa se si ha la volontà di fare scelte coraggiose.

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