La redazione di RosaNeroLive.it ha intervistato in esclusiva Vito Chimenti, leggendario attaccante del Palermo nelle stagioni 1977-78 e 1978-79. La punta nata a Bari ha collezionato con la casacca rosanero 74 presenze realizzando 29 reti. Una di queste fu siglata nella sfortunata finale di Coppa Italia persa contro la Juventus: una squadra di Serie B mise paura alla corazzata bianconera. Tra passato e presente, ecco cosa ci ha raccontato.
L’INTERVISTA
Lei è nato a Bari ma ha creato un fortissimo legame con Palermo. Due stagione di assoluto livello con i rosanero in Serie B ed una finale di Coppa Italia persa contro la Juventus. Quali emozioni prova quando pensa al Palermo?
“Sono stati due anni splendidi: quei 29 goal hanno creato un feeling con l’ambiente, i tifosi e la società. È impossibile dimenticare quel periodo stupendo. Peccato per quella finale di Coppa Italia: ancora oggi sono amareggiato per come è finita. Una delusione davvero importante, almeno per il sottoscritto. Una squadra, anche di Serie B, non può perdere una partita negli ultimi minuti, anche se davanti c’era una squadra chiamata Juventus”.
Emozioni che avrà certamente riprovato durante la “Notte dei Campioni” del 26 agosto. Essendo sceso in campo contro il Palermo che attualmente affronta la Serie D, che idea si è fatto, dal vivo, della compagine rosanero allenata da Pergolizzi?
“Pergolizzi ha ricevuto dalla società una squadra che deve vincere la Serie D. Il campionato è lungo e difficile ma i giocatori devono scendere su tutti i campi per dimostrare che sono migliori, che si chiamano Palermo. È una squadra completa e forte ma i rosanero dovranno avere lo spirito battagliero su ogni campo”.
Lei è famoso per la celeberrima bicicletta che infuocava l’allora “Favorita”. Ci può spiegare i segreti di questa giocata e come le venne in mente?
“È una giocata che facevo da ragazzino, nei campi di periferia. In seguito, l’ho replicata tra i professionisti. A Palermo, dopo averla riprodotta, la gente si è entusiasmata e, per renderli felici, cercavo di farla tutte le domeniche. A volte riusciva, a volte no. È un gesto tecnico nato nelle categorie inferiori”.
Essendo stato un dei protagonisti di un calcio molto diverso da quello che siamo abituati a vedere nei giorni nostri, quali differenze sostanziali nota tra passato e presente?
“È molto differente: all’epoca era un calcio d’amore, difendevi la maglia della tua società perché eri un suo dipendente. Oggi il calciatore è di passaggio, in molti durano uno o due anni nello stesso club. Prima le proprietà investivano sui giocatori…”
L’era Zamparini è tramontata male e la breve parentesi dei Tuttolomondo non è stata migliore. Il Palermo ha conosciuto il fallimento ma adesso è ripartito con Mirri e Di Piazza: cosa si aspetta da questa nuova società? Quali aspetti, secondo lei, sono cambiati in positivo col passaggio di proprietà?
“La società ha dimostrato la sua serietà con l’investimento fatto nel Palermo. Bisogna dargli atto che hanno, nuovamente, riempito lo stadio e questa è una cosa importante. Mirri e Di Piazza sono prima tifosi, poi palermitani e solo dopo Presidenti. Hanno messo mano al portafogli per far rinascere il calcio in una città meravigliosa. Sono pronti al sacrificio, lo stanno dimostrando, e non si tirano indietro se devono potenziare squadra e società. Zamparini portava 2.000 persone allo stadio, loro molte di più. La squadra e la società sono dei palermitana, questa la differenza più grande”.
Ha un messaggio per i “suoi” tifosi del Palermo?
“Devono sempre stare vicini a questa squadra, sono loro il dodicesimo uomo in campo. Loro fanno davvero la differenza, su ogni campo di Serie D in cui andranno. Purtroppo, non è una categoria che gli appartiene: il Palermo merita di stare in Serie A, massimo in B nelle annate disastrose. Stanno tutti ripartendo da zero e devono aiutare calciatori e società con la loro inconfondibile passione”.