Le parole di Mirri? Nessuno stupore. Ma il Palermo va salvato

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Quando la verità diventa realtà. In questa frase, apparentemente in controsenso, c’è tutto il sunto di una interminabile discussione iniziata due anni orsono sui social e mai terminata ma culminata oggi in uno stupore di massa che somiglia molto ad un risveglio da un lungo letargo. L’oggetto della querelle è ovviamente il futuro del Palermo. Spesso da queste pagine si è alzato un grido di allarme ma la sordità di chi non ha voluto ascoltare si è rivelata più deleteria degli effetti di un bombardamento.

Oggi tutti si chiedono quale futuro è riservato alla neonata società rosanero e immaginano scenari apocalittici. Questa città e più in generale questa terra di Sicilia è abituata ad ossequiare, quasi idolatrare forse, il mecenate di turno che arriva a salvare la patria. Lo è storicamente sempre stata la nostra gente, supina a chi è venuto a regalare ricchezze prendendosi in cambio il potere in maniera coercitiva. Le rivolte popolari hanno infine cacciato l’usurpatore di turno per dare spazio al nuovo straniero che ha bussato alle porte. Mai che sia stata una volontà popolare a reclamare l’unione locale per affermare l’auto determinazione.

Due anni fa un uomo coraggioso ha cercato di realizzare un progetto di rinascita del calcio palermitano orfano di un tiranno che non a calci nel sedere era stato mandato via ma che stanco di combattere contro gli ostacoli della burocrazia aveva deciso di disinvestire e abbandonare la nave rosanero verso la deriva del fallimento. Quell’uomo, certamente animato da una grande passione, era riuscito a coinvolgere un emigrato facoltoso ed a convincerlo della bontà di quel progetto. Acqua sotto gli ideali ponti di viale del fante ne è passata fin troppa ed è stato inevitabile che la piena di quel fiume travolgesse i pilastri dell’impianto progettato. Il peccato originale è facile da identificare.

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Mirri

Il successo di una azienda si fonda si fonda su tre fattori: il capitale disponibile, le risorse umane che lo debbono gestire e il cliente che deve usufruire delle merci o dei servizi. Certo non grandi capitali furono immessi all’origine ma sicuramente il piano di investimenti previsto è stato rispettato ad oggi da Mirri e Di Piazza. Indubbiamente il cliente finale, i tifosi, a causa delle restrizioni imposte dalla pandemia non hanno potuto usufruire del prodotto offerto e la mancata presenza sugli spalti ha inciso sui ritorni economici della azienda Palermo calcio. Semplice trovare nel management il vero responsabile di uno stato dei fatti che costringe l’ormai unico azionista ad affermare che la sua avventura è quasi giunta al capolinea.

Un mea culpa seppur sommesso sarebbe auspicabile da parte sua per cercare di trovare una soluzione interna che regali una transizione relativamente meno ansiosa ai suoi stakeholders. L’uscita del socio americano è stata determinata principalmente dalla non condivisione di scelte delegate ad un amministratore delegato che seppur dirigente assolutamente capace non risulta abbia fatto nulla per rivedere qualche decisione societaria, tipo il ruolo da affidare a Paparesta, uomo di fiducia di Di Piazza o a smussare gli angoli spigolosi di una convivenza sbilanciata nella misura delle quote possedute dai soci. No cari lettori, noi non siamo per nulla stupiti dalle affermazioni di ieri del presidente. Esse sono perfettamente in linea con quanto già dichiarato nella recente conferenza stampa di alcune settimane fa.

Mirri ha invitato chi ha la sua stessa passione a farsi avanti per rilevare la società o perlomeno ad investire in un processo di crescita economica che potrebbe garantire un futuro più tranquillo in attesa del prossimo mecenate. Ecco perché non ci uniamo al coro di condanna popolare ma vogliamo per una volta essere cassa di risonanza per un appello ad una città urlatrice nelle proteste ma silente nelle proposte. Il Palermo lo abbiamo nel cuore e non gioiremmo mai nel caso di un altro fallimento. Abbia il presidente però il coraggio di rivedere alcune scelte fatte su idee uomini e strategie. Se c’è davvero la volontà di coinvolgere quella parte di imprenditoria potenzialmente interessata il momento delle decisioni più opportune è adesso.


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