Il Presidente Mirri e la patente del tifoso

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Sembrava finito il tempo in cui dalle alte cariche societarie si elargivano patenti, ora da tifoso, ora da giornalista. Evidentemente quella normalità, costituita dal solito campionato di metà classifica, alla quale ci stavamo abituando, rappresentava un’eccezione. Il Presidente Mirri, proprio ieri, è tornato sui suoi passi, battendo sulle dolenti note, ricominciando il predicozzo a base di “appartenenza” e decidendo dall’alto del suo insindacabile giudizio chi può permettersi di criticare il Palermo e chi no.

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Mirri in conferenza stampa

Un ritornello che ha francamente stancato e che si colloca in maniera intempestiva all’indomani di una caduta fragorosa come quella di Foggia. Il calcio non è una guerra, dove solo chi va al fronte può meritare una medaglia. Tra l’altro, va ricordato, che il calcio è uno sport che consente alle società di vivacchiare anche con i soldi elargiti dalle televisioni, foraggiate dalla visione “divanocentrica” di alcuni tifosi o, per come li vede Mirri, pseudotali.

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Piuttosto che concentrarsi sui soliti anatemi da “divide et impera”, il Presidente Mirri dovrebbe fare ogni tanto un po’ di sana autocritica. Perché questa città, che a suo dire esprime cinquemila tifosi, è la stessa che in serie D ha fatto registrare il record di abbonamenti per la categoria, superando quota diecimila. Sognatori che sono passati dall’ormai celeberrimo volo pindarico “in tre anni in B” ad un molto più rasoterra “almeno tre anni in C”.

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